FRANCESCA BOGLIOLO

Davanti al percorso artistico di Andrea Marchesini, la mente di chi osserva rimane inevitabilmente impressionata da una sorta di progressione che, mantenendo un quasi invisibile e saldissimo fil rouge contenutistico, muta allo sguardo nelle forme pur rimanendo fedele a se stessa. Il continuo cambiamento, indiscutibile indizio di ricerca profonda, evidenzia una perspicace capacità narrativa capace di adeguarsi al tempo e alle trasformazioni che questo porta con sé.

Stratificazioni materiche rimandano a piani di memoria che sembrano trattenere e rielaborare un vissuto fatto di un ininterrotto e instancabile legame con l’arte, la cui dimensione spirituale e privilegiata condizioni l’uomo e l’artista. Nel passaggio tra un fare materico e una dimensione fluida, pare esistere un continuum temporale che tenga conto della necessità di una persistente rinascita: che la vita sia plasmata o emerga spontaneamente non importa, purché essa avvenga, sia risveglio, sia consapevole. Per fare sì che questo accada, è sempre necessaria un’azione: action. Un’eco lontana dell’action painting, dove non solo si palesi il movimento delle figure delineate sulla tela, ma sia primario il gesto di chi la tela incontra, scontra, vive. L’animo di Andrea Marchesini è un costante crogiuolo, un fermento di idee in ebollizione da cui, ogni volta che egli mette mano a una nuova opera, una composizione emerge, viene isolata e poi raffigurata. In una sorta di procedimento alchemico, l’artista opera incessantemente sulla materia e su se stesso. Prendono vita, le opere di Marchesini, da un sostrato culturale ampio, complesso e ben radicato che, attraverso figure archetipiche, narra il continuo cammino dell’umanità alla ricerca di un equilibrio perennemente instabile.

Ricerca che è, tuttavia, piena e personale, pur nel rispetto dei maestri cui il suo inconscio sembra volere rendere omaggio: artisti contemporanei, come Basquiat, Haring, Mirò, Ensor, destinati a sovrapporsi in un impianto visivo contemporaneo con influssi derivanti da fiamminghi quattrocenteschi e anonimi primitivi, per un risultato che ha in sé una immediatezza comunicativa in grado di raggiungere prima l’anima e poi l’intelletto di chi guarda. Un’evidente predilezione per la cultura inglese metropolitana traspare tanto dalla gestualità spontanea e dall’espressività delle forme, quanto dalle vibrazioni tonali che rivelano un vero e proprio tumulto interiore ben canalizzato. Nel porre e togliere strati di colore sulla tela, Marchesini rivela un incessante lavoro sulla sua interiorità, vero e proprio palcoscenico intimo di un confronto-scontro con la materia e il contenuto dell’arte, che pur nella sua realizzazione del tutto contemporanea dal punto di vista stilistico, si rivela antica e primordiale nella volontà e nel procedimento.

Ogni volta che Marchesini affronta una nuova tela è come se fosse la prima volta, o l’ultima. Obbedisce alla propria urgenza espressiva con rigore e determinazione, non potendo sottrarsi a un atto che sembra mantenere la necessità e l’inconsapevolezza del respiro. Il fluire stesso delle composizioni rivela la delicatezza di una gestualità consolidata dalla pratica svolta da anni con disciplina e rigore, in cui il movimento centripeto assume una particolare valenza: esso è un invito a guardarsi dentro, a oltrepassare lo specchio delle apparenze per giungere in silenzio al nucleo della verità. Allo sguardo indagatore, figure di astanti inconsapevoli paiono guardiani apotropaici, che difendono e nel contempo palesano la presenza di un Mistero ancora tutto da vagliare. Chi non ha ancora un volto, pure non ha più una maschera. La ricerca dell’identità, cardine dell’operare di Marchesini, lo rende un abile funambolo capace di rimanere in equilibrio sul sottile filo teso tra realtà e immaginazione.

FEDERICA BURLANDO

In epoca post-moderna, assistiamo a nuove poetiche artistiche, successivi alla roboante rottura degli schemi  dell'emblematico artista Jackson Pollock, che costituisce l'esempio sintomatico di una nuova volontà di fare arte stravolgendo gli schemi della pittura da cavalletto: la pittura si libera finalmente dalla retorica tipica della tradizione accademica e l'artista sceglie di abbandonarsi emotivamente al colore e alla sua capacità di assumere i valori massimi della saturazione e della luce.

La poetica di Andrea Marchesini nasce in tale ambito. L'artista mostra una generosità irruente della materia, in cui colore diventa spazio vibrante significante sè medesimo: il maestro rappresenta pitture astratte di indisturbata tensione materica, che brulicano vivaci sulla preparazione del dipinto attraverso l'uso di tecniche miste, memori di antichi e primitivi procedimenti tecnici.

Alterna forme emodinamiche di diverso colore a materia informe che dialogano armoniosamente; talvolta si percepiscono tracce di natura antropomorfa e zoomorfa che guizzano vivaci sul supporto.

Instancabile ricercatore di nuove tecniche artistiche e giochi di colore, Andrea Marchesini realizza opere in cui il segno assume un ruolo estetico, in tutte le sue sfaccettature, e diventa coprotagonista nella composizione, come del resto la ritualità del gesto del pennello, libera e a sè stante, rievocatrice della poetica artistica delle retroguardie americane degli anni Cinquanta.

L'esposizione "Mythos" riprende la sua particolare fase di ricerca artistica "Action",  in cui riutilizza i più disparati linguaggi  all'insegna di una originale ricerca ove si abbandona completamente al colore e al segno.

Forma, colore, movimento e luce sono le linee guida che caratterizzano il progetto del maestro vicentino, che riecheggia tracce di materia vivida come già fece l'innovativo pittore ed incisore ottocentesco William Turner.

Non manca nelle opere di Marchesini una nota di critica sociale: "Action" assume un nuovo significato di forza generatrice e rigeneratrice, che supera ogni stereotipo e ideologia moderna e libera l'uomo contemporaneo da realtà fortemente seriali e automatizzate, palesandosi come una nuova speranza e svolta vitale per il genere umano attraverso forme e colori di matrice surrealista.

All'insegna di un nuovo processo teoretico, il mito, in quanto azione eversiva, conduce ad una neofita manifestazione di volontà segnata da un atteggiamento poietico, in quanto produttivo di nuove forme artistiche e generatore di espressioni critico-riflessive anche in chiave autoironica, volto ad abbattere muri- all'apparenza indistruttibili-, all'insegna di un nuovo valore morale ed imprescindibile, la libertà, che conduce alla costruzione dell'identità umana.

L'esposizione "Mythos" identifica l'illustrazione di un sogno d'artista con un'utopia, attraverso la narrazione di azioni e favole moderne, estremamente contemporanee  anche per la scelta dei soggetti, raffiguranti la tematica dell'antieroe e dell'uomo moderno attraverso una ricercata  e certosina sublimazione di forme e colori.

 

FRANCESCA CARBONE

“Era un cammino che si doveva percorrere, diritti e soli…fino a superare le valli oscure e desolate e pervenire alfine all’aria pura per soffermarsi sul limite d’una pianura alta e senza limiti. L’immaginazione, liberata dalle catene della paura e della legge, diventava allora tutt’uno con la visione. E l’Atto, intrinseco e assoluto, era il suo significato, e il portatore della sua passione.”

 

C’è qualcosa che accomuna queste parole scritte dal pittore Clifford Still in una Lettera a Gordon M. Smith e l’azione di Andrea Marchesini. Forse quel percorso individuale ed intimo che, negli anni, ha liberato uno stile che ad oggi risulta specifico e personale, seppur in continua evoluzione.

Nel nostro tempo vi è determinata la convivenza di varie e difformi modalità espressive e, diversamente da quel che era avvenuto nel Novecento, non ci sono movimenti omogenei ed unitari ma singole personalità di cui viene esaltato il valore creativo dell’Io. Siamo nell’epoca dell’ “egocalisse”, afferma Vincenzo Trioni , e il lavoro di Marchesini ne è una prova concreta.

Marchesini si addentra negli interstizi del presente, in una temporalità complessa, stratificata e sfuggente che non viene affrontata come ostacolo o barriera ma come straordinaria sfida e stimolante occasione. Ne compone i contorni delle apparenze, non si sottrae, mostra radici implicite ed intenzioni inesplorate. Forme apparentemente prive di specificazione parlano con una certa precisione di ciò che il creativo percepisce. Coincidono con ciò che si delinea d’innanzi– e poi si cancella. Dal modo in cui le figure si palesano e svaniscono, si distanziano e si accostano l’una con l’altra, si avverte un’espansiva trama di forze, una continua messa in discussione dell’affermazione dei soggetti. È la configurazione di una sensazione, la crescita naturale del bisogno di esprimere a forme e a colori il prisma dell’immaginazione.

La tela che ci sta di fronte possiede pertanto un valore scopertamente autobiografico, Marchesini ci parla del suo “Io” apertamente. È percepibile un sentimento perturbato che, senza un pregiudizievole approccio, viene celato dall’utilizzo del colore sgargiante. Quadrati verdi, forme rosa, fondi gialli brillanti e tessuti preziosi edificano opere in cui c’è della verità.

Sono interpretazioni, straordinarie ed esuberanti, emergenti sotto la forma di figure umanoidi, aliene, fluide e geometriche che chiedono di essere scrutate nei particolari per scoprirne l’identità.

Le sue configurazioni sono esplosioni di senso mistico che trovano giustificazione non in un qualsiasi dovere dell’artista verso la società, ma in ciò che egli deve a sè stesso, nel suo bisogno di rendere visibile l’intimo nucleo del suo essere.

Il mondo immaginifico Marchesiniano possiede un sotterraneo senso di pura rivelazione inconscia. Toccò al movimento surrealista, nel dopoguerra, codificare questa tipologia di scoperta ed erigerla come proprio principio. Il surrealismo affascinato dalle scoperte di Freud, attraverso la dottrina dell’automazione psichica, vedeva l’arte come mezzo di rivelazione del mondo nascosto dell’inconscio.  Marchesini, il cui lavoro differisce per altri aspetti sostanziali dai pittori surrealisti, ne evoca alcuni richiami (Mirò) insieme a lievi influenze di natura espressionista (Francis Bacon, Jackson Pollock, Clifford Still). Le forme cromatiche germinano in immagini che restano ignote, o quanto meno inattese al loro creatore fino al momento della loro apparizione. Si originano presenze enigmatiche e complesse al punto di diventare labirintici grovigli, circonvoluzioni vegetali, organiche e mentali. Secondo l’osservazione in qualche misura geniale del creativo, si può dire che egli sostituisce il microcosmo represso con un macrocosmo irraggiungibile. Espande i limiti della nostra percezione approfondendo la cosmologia di un universo soggettivo e mentale, attraverso un repertorio di immagini in cui Marchesini conserva una propria e caratteristica elusività, come se ora avesse guadagnato il pronto accesso al suo subconscio da non aver più molte ragioni di temere ciò che esso contiene.

Queste opere sono la vigorosa espressione della sua energia intellettuale e della sua percezione sensibile, i segnali indicatori sono seminascosti tra le estrose superfici dipinte. Ad esempio, la perfetta e piatta stesura del fondo è base fondamentale, una temporanea tabula rasa da cui tutto ha inizio. Generata la prima forma sferica vengono abbinati gli effetti del dripping a rapidi vortici di pennello apparentemente improvvisati, si estendono ramificazioni, dense colature, vengono inseriti tessuti, merletti e, in recenti produzioni, frammenti di specchi tondeggianti. Forme e materiali che nella visione d’insieme generano una relazione.

La pura estetica visiva diventa altro agli occhi di chi osserva attentamente. Volumi, dettagli cromatici e stilistici, insieme, compongono e trasmettono diversi stati d’animo, alludono a differenti possibili valori: un contrasto continuo alla ricerca di una convivenza.

Non sono lavori immediati, necessitano di tempo.

Quello di Marchesini è un alfabeto che non possiamo facilmente tradurre ma la ricorrenza di simboli e forme, frutto di una sorta di componente ossessiva, implica la presenza e la costruzione di un significato.

Le tele si compongono come Logos per l’artista, un discorso che unifica e raccoglie per immagini la molteplicità dell’essere per ritrovarne, più che un equilibrio, una logica d’esistenza.

La pittura di Marchesini è testimone di una nuova visione che descrive ed identifica le molteplicità del sensibile, discostandosi ovviamente dal raggiungere un primato di verità assoluta. Ferma però, e pone in evidenza sulla tela, gli aspetti di un continuo mutamento dell’immagine di pensiero.

Si può dire che Marchesini genera e aziona il concetto che Nietzsche identifica con Volontà di Potenza, la libertà creatrice dell’uomo, l’Atto fonte di significati ed interpretazioni che diventa possibilità per l’artista di diventare ciò che è. La volontà di potenza consiste nel creare, o meglio nel ri-creare l’essere a misura della propria oltre-umanità , ed in quanto forza interpretativa si coglie l’essenza e l’origine della molteplicità prospettica. Si stabilisce così, in ogni momento, un rapporto tra la sensibilità e il divenire in cui si colgono i tratti principali e li si fanno emergere attraverso un aspetto riconducibile a una forma. Ecco perché lo stile pittorico di Marchesini è mezzo di autoaffermazione.

Nella sua azione il pittore vicentino codifica segnali, indicazioni e prospettive senza orizzonti della propria percezione nell’epoca contemporanea, colorandone l’esuberanza delle reazioni e coinvolgendoci nel suo essere stesso spettatore-attore.

Il lavoro di Marchesini si può dire che annuncia una poetica delle relazioni tra le creature, l’immaginario e le loro temporalità. La vocazione introspettiva e concettuale del Marchesini è l’elemento, che al pari della tecnica, ne fa una figura emergente di rilevante interesse nel panorama della pittura italiana del nostro tempo.

 

 “Le verità possono essere cambiate” Andrea Marchesini.

 

 

“(…) Non dobbiamo chiederci se percepiamo veramente il mondo, dobbiamo invece dire: il mondo è ciò che noi percepiamo.”

 

 

Alain Chivilo'

Scorrendo le opere dell’artista Andrea Marchesini si nota come nel suo linguaggio

nasca un legame e un’apertura alla vita. Parafrasando un concetto del critico d’arte Maurizio Calvesi, l’iter pittorico di Marchesini elabora in chiave contemporanea canoni della Pop Art unendo alla simbologia dei mass-media, o meglio della vita umana, filtri visivi realizzati concet- tualmente dall’uomo.

Se per Andy Warhol “la pop art è un modo di amare le cose”, per Andrea Marchesini diventa un lirico fine espressivo, che si arricchisce all’interno della sua formazione artistica in nobili rimandi e originali evoluzioni.

A dimostrazione di quanto indicato, nel pittore scaligero di nascita ma vicentino d’adozione, tutto quello che si determina nel rapporto luce/ cromie lo appassiona fortemente per un’interpretazione realmente connessa ai giorni d’oggi. La forma del colore, vera tradizione artistica veneziana fin dal Rinascimento, lo porta a correlare codici visivi che, sapientemente miscelati,costrui- scono un sistema di comunicazione interdisciplinare.

Dai primi lavori denominati “Trac- ce” e “Materici”, in cui l’istinto espressivo sposa la gestualità alla geometria, creando fluttuazioni di colori e di materia nella dinamica percettiva, Marchesini comincia a dare sempre maggiore spazio a universi simbolici e figurativi che si permeano in una matrice pop. L’ar- tista dunque sviluppa un biografico vocabolario correlato da immagini che, dal suo io, si connette al mondo circostante.

I successivi cicli “Affabulando”, “Satyricon” e “Action” non sono altro che universi della mente che tra luce, cromaticità e sentimento delineano labirinti e collegamenti visuali dalle interpretazioni senza fine, evidenziando la passione per Joan Mirò sempre tradotta con personalità e un richiamo a Concetto Pozzati per quelle figure pop poste in un contesto narrativo, ma in forme più stilizzate.

Andrea Marchesini nella sua produ- zione artistica crea ulteriore vivacità grazie a un fluo ottenuto dall’unione di smalto, olio e acrilici per una maggiore percezione di profondità. Inoltre una rarefazione figurativa, spesso delimitata in alcune aree dell’opera, esprime linguaggi urbani semplici nella definizione rappresen- tativa, utili a codificare diversi piani narrativi dimensionali.

In sintesi, spontaneamente, idea forze espressive che attraverso l’energia del colore permettono a ogni singola storia di vibrare.

I lavori di Andrea Marchesini possono essere ammirati,tra fine 2018 e inizio 2019, nelle personali presso lo Spazio Mediolanum, Arzignano, fino al 26 gennaio e presso Villa Graziani, San Giustino di Perugia, fino al 3 febbraio.

FRANCESCA DI GIORGIO

The Shape of Inner Forms

 

L’arte deve rivelarci idee, essenze spirituali informi.

James Joyce

 

Esistono diverse vie per arrivare ad una forma ed è grazie all'osservazione di forme differenti che riusciamo a raggiungere un contenuto. La strada verso queste grandi conquiste, forma e contenuThe Shape of Inner Formsto, è costellata di profonde rivoluzioni del pensiero attorno a ciò che è fondamentale tenere e a ciò che è necessario lasciare andare.

Un equilibrio che si acquisisce con la pratica, la dedizione, il costante focus su se stessi.

La pittura di Andrea Marchesini restituisce un'autobiografia traslata, un'idea tradotta di quello che l'artista è e di come percepisce se stesso in relazione al mondo: corpo e pensiero nel flusso di quella continua evoluzione propria della specie umana.

Ecco perché la carrellata di tipi, i Frankenstein 2.0 della più recente produzione pittorica, possono già considerarsi antenati della Generation Beyond, una Generazione Oltre dove l'oltre sta ad indicare la tensione continua dell'umanità a superarsi: non seguendo una direttrice gerarchica di ascesa fine a se stessa bensì un senso evolutivo/spirituale. Uno stadio superiore raggiungibile attraverso una fase decostruttiva a cui ne segue una costruttiva. Da pars destruens a pars construens – come direbbe Nietzsche, dal quale Marchesini si lascia ispirare – nasce qualcosa, qualcuno, che prima non esisteva, genererandosi da tessere di un puzzle rimescolate di proposito con l'intento di assistere alla nascita di quelli che l'artista definisce, appunto, “Frankenstein contemporanei”, esseri in continua meditazione/riflessione e in lotta per affrontare il proprio percorso di crescita.

Ecco perché, una volta ritenute concluse, l'artista dispone in circolo le sue opere, si pone di fronte a loro, le osserva e le chiama per nome. Presenze, a volte, dai connotati fisici evidenti, occhi e bocche iperdefiniti, altre solo accennati, profili di volti, contorni, sagome di corpi umani e animali.

«Tutto ciò che è profondo ama la maschera» direbbe Nietzsche «dammi una maschera, ti prego, una maschera ancora».

Assistiamo, dunque, ad una rassegna di personae, che sfilano come in una parata: sono “una, nessuna e centomila”. L'incontro con ognuna passa attraverso il filtro di forti accostamenti cromatici, di colori pieni ed accesi, componente letteralmente basilare nel lavoro di Marchesini. L'opera viene costruita dal fondo, spesso a smalto, per poi procedere per stratificazioni successive di diversi pigmenti ad olio o ad acrilico, preparati dall'artista stesso seguendo antichi procedimenti, partendo dal pigmento in polvere.

Non ultima arriva la materia che, parallelamente al colore, lavora su un piano diverso ma complementare, proprio come accade tra astratto e figurativo che si compenetrano in un tutt'uno indissolubile all'interno delle tele.

Tessuti di varia provenienza come trapuntati, juta, lana, ecopelle, velluti e broccati cuciti assieme diventano un pattern visivo capace di imprimere un ritmo modulare all'opera interagendo per analogia e contrasto con il resto della composizione.

Il cerchio si chiude, ritornando alla forma quella ricercata e raggiunta da Andrea Marchesini: «un’idea che diventa “immagine”, una visione filtrata dalla psiche, una visione deformante che astrae la realtà esteriore interiorizzandola».

Così, The Bow (L'Arco), l'opera che apre la monografia, è idealmente un varco. L'artista, lasciandosi guidare dalla percezione soggettiva della realtà, riconosce una figura centrale che si inchina con qualcuno sulle sue spalle: si sta inginocchiando come per rendere omaggio alla natura, al Tutto.

La posizione del suo corpo forma un grande oculo rosso. L'occhio, non a caso, era, per gli antichi greci, un simbolo apotropaico di protezione e richiamo ad energie positive. Per noi, ora, è un'apertura verso una dimensione nuova.

A traghettarci in questo inedito viaggio non può che essere il rosso predominante di The Bow, tra i colori preferiti di Andrea Marchesini e da cui inizia la successione cromatica di Generation Beyond. Inseguire il colore per l'artista significa assecondare la sua "immaginazione attiva", far fluire le immagini che provengono dal suo inconscio.

Per la psicologia analitica junghiana esiste una corrispondenza tra colore e tipo psicologico: l'azzurro è il pensiero, il giallo l'intuizione, il verde la sensazione, il rosso il sentimento...

Rosso è il libro di Carl Gustav Jung, il Liber Novus (dal latino "Libro Nuovo") un volume “risorto” dopo anni di oblio e composto da parole e immagini, nucleo del pensiero dello psichiatra svizzero, riproduzione simbolica di «un universo popolato di immagini interiori nate da forze psichiche autonome che solo attraverso un corpo a corpo con l'inconscio è possibile neutralizzare e incanalare in un percorso terapeutico».

E se il colore fosse come per Jung uno strumento?

Marchesini ha interiorizzato questo concetto ed è come se davanti ad una sua opera ci

 

 

MARIA LUCIA FERRAGUTI

Andrea Marchesini in pittura percorre una strada personale. Dipinge immagini governate dalla tensione, dal suo pensiero e dal coraggio, sempre aderente alla sua coscienza, un flusso continuo di unità tra vita e arte, fedeltà, operosità intensa negli anni. La pittura si presenta come momento di conquista, d’intensità poetica e di memoria visiva non esauribile ed inoltre si consegna da forma assoluta, legata al presente ed ai valori del passato. È anche vero che Marchesini ha vissuto gli ultimi anni sostenuto da entusiasmi e forze per aver viaggiato, conosciuto e dipinto, preferendo prima forme astratte ed in seguito immagini per lo più figurative.

Esiste sempre in lui un accumulo di tensione sottile, un costante impegno alimentati da un’ansia, che solo la pittura può domare, un’aspirazione mai sazia da trasferire nel fervore di ogni giorno e da placare ed evolvere in fine nell’opera completa. "Ogni uomo, ogni artista, diceva Nietzsche, ogni scala che sale alla torre della perfezione lo deve alla lotta che sostiene con un demone, non con un angelo, come si è detto, né con la sua musa. È necessario fare questa distinzione fondamentale per la radice dell' opera". Da questa tensione derivano pitture che nel tempo riallacciano memorie di letture classiche, simili per importanza ai dipinti dalle fonti poste sull’inesauribile ricchezza del mito, quindi sempre arretrando nel passato, di sottili figure primitive e in quelle dalle forme arcaiche. Traduce elementi, immagini antropomorfiche e geometriche e dettagli che conducono a forme riconoscibili in racconti giganteschi, in un’efficace sintesi e distesi in un colore permeabile alla luce.

   Questa febbre si è sempre riversata nei vari momenti creativi dai lavori, su tela e talvolta su carta, alle diverse mostre personali nel loro progressivo evolvere, una dietro all’altra anche in dipinti dalle straordinarie dimensioni.

Comunque anche se ultimamente sposta nei dipinti suggestioni provenienti dall’arte di Miró, mantiene inalterato nel tempo quel distinguo di originalità e di autonomia che è proprio della sua creatività.

   Marchesini nella continuità prosegue concentratissimo e distende in questi ultimi tempi, una delle sue avventure creative. Apre al rinnovo degli elementi della pittura; avvia una visione essenziale con dischi cromatici concentrici, quei dischi che si inseriscono uno sull’altro e diventano forme nettamente definite in superfici dalle stesure piatte, dal cromatismo intenso e meditato da apparire quasi inevitabile, privo dell’illusione della profondità; recupera il disegno.

  Rivela nuove possibilità per il colore, inventato, segreto, dalle nuove proprietà, cromaticamente concentrato. Riserva inoltre un’attenzione particolare alla figura umana, che dà il via a sognanti visioni,  ponendola  in risalto ed in movimento,  introducendo così dinamismo e, sembra, ancor più, impegnandola a misurarsi nello spazio ricco d’energia, con l‘attualità.

GIORGIO GRASSO

L’indagine artistica di Andrea Marchesini si presenta come un percorso sensoriale che va oltre sia la figura che l’astrazione verso un orizzonte non definito che evade addirittura il confine del sé e della sua diretta percezione. Le sue opere vengono plasmate da un dinamismo coinvolgente che deriva dalla riflessione profonda che l’artista compie riguardo ai vari piani di coscienza che si identificheranno nel quadro finito. Il processo di creazione di Marchesini è quindi un’ascesa graduale che gli permette di instaurare una dialettica diretta con l’opera stessa che si immedesima con il sé primario dell’artista. Le sue opere sono, infatti, frammenti di un’anima profonda, ricercatrice di verità e menzogna, di reale e spirituale, di forma e astrazione... di quei contrasti, quindi, che creano qualcosa di mai esistito.

“Trascendentale” potrebbe essere definita la sua ricerca, intendendo il termine come “andare oltre”, superare l’apparenza fuorviante dell’immagine quotidiana per ricercare luoghi infiniti e slegati dal concetto di tempo. Spazi creatori svuotati di tutti quei limiti del reale tesi verso uno sviluppo continuo e contorto.

L’estetica è un altro fondamento di Marchesini che ha fatto propri simboli e forme, comuni nella conoscenza di noi tutti, realizzate attraverso un processo di sintesi che ha permesso alle “figure” di stagliarsi dal fondo attraverso contrasti cromatici forti. Lo sviluppo e la definizione di un proprio gesto pittorico compongono un processo difficile che ha insegnato all’artista l’importanza del “togliere”, ovvero semplificare una via per renderla più intima. Ed ecco quindi la comparsa delle figure umane ridotte a silhouettes nere che si stagliano su fondali dai contrasti cromatici accesi, autoritratti che appaiono definiti da sottili contorni…. L’epicentro di tutto ciò è sempre l’uomo insieme alle sue bellezze controverse, alla sua spiritualità innata e alla sua capacità di emozionarsi: l’opera, infatti, si basa spesso sul ritrarre emanazioni generate dall’umano e in particolare dall’artista stesso.

Altri due aspetti fondamentali nell’arte di Marchesini sono: l’ironia del gioco e l’impiego di materiali. Con “ironia del gioco” intendo definire uno dei molteplici piani significativi dell’opera che si identifica con quel lato più scherzoso e “giocoso” per l'appunto, ovvero quelle forme sorridenti spesso attribuibili ad animali e umani che riconducono la serietà del lavoro verso un approccio più istintivo e fanciullesco. I materiali, invece, assumono in questa ricerca una valenza simbolica forte dettando un rapporto tra osservatore e opera che non si limita alla vista, ma considera anche il tatto. Marchesini, infatti, utilizza, gessi, vernici, colori creati in studio che permettono all’artista di utilizzare sfumature “calde” non dal punto di vista cromatico, ma sensoriale.

Con Marchesini siamo davanti a un’arte nuova ma solida di un fondamento estetico e concettuale forte che dona all’artista quella riconoscibilità necessaria per affermarsi nella contemporaneità.

GIOVANNA GROSSATO

Per addizione e per sottrazione

 

Fino a qualche anno fa la pittura di Andrea Marchesini era caratterizzata da un trionfo di materia rutilante. Con lavori in cui lo strato di colore, elargito con una generosità irruente, complessa, emotivamente dinamica, costituiva la parte più specificamente espressiva del linguaggio. Da questi dipinti era totalmente escluso ogni riferimento oggettivo e naturalistico e l’astrazione dominava indisturbata grazie agli accumuli intensi e perennemente in movimento.

Poi questa eloquenza cromatica ha subito una riflessiva battuta d’arresto, decantando e sedimentando tutto il pensiero e l’emozione che l’avevano generata. Senza tuttavia nulla rinnegare del passato, ché, anzi, queste forze per certi versi primordiali e magmatiche rappresentano la fase germinale anche del successivo e attuale percorso, la sua elaborazione.

La rarefazione della pasta cromatica, sottratta alla tela, ha ubbidito ad un desiderio dell’artista di riappropriarsi della forma. Il colore si è dato un ruolo di co-protagonista e, trattato con tecniche sperimentali, ha assunto la funzione – pur importantissima – di fungere da “sfondo” e da “contenitore” ad alcuni elementi che si andavano via via definendo in termini fondamentalmente surrealisti, talora anche “citando” alcuni stilemi cari a uno degli autori di riferimento di Marchesini, Joan Mirò.

Ed è proprio su questa matrice surrealista che il percorso di Andrea Marchesini è andato maturando altre tensioni, per certi versi più sottili e introiettive; con l’inserimento, senza competizione gerarchica, di tracce antropomorfe, fitomorfe e oggettuali. Con particolare riferimento a simboli di civiltà interconnessi dal denominatore comune di essere elaborazione umana dello spirito e del pensiero. Perfino la scrittura viene utilizzata come segno estetico, al di là del suo valore comunicativo e come portatrice di processi di astrazione, di formalizzazione, di costruzione logica, di analisi, di sintesi e quindi capace di rendere possibile la formulazione di nuove ipotesi e nuove teorie, oltre che la classificazione del mondo materiale e immateriale. Insomma Marchesini ne utilizza i grafemi come elementi disegnativi e artistici, liberando la scrittura dal suo consacrato e antichissimo incarico che, secondo Jack Goody, ha permesso un "addomesticamento del pensiero".

In qualche misura nipote della Transavanguardia, corrente così definita da Achille Bonito Oliva nel 1979, sorta in Italia alla fine degli anni '70 dopo le esperienze dell'Arte povera e della Minimal art, il fare artistico di quegli anni recupera, al pari di quello di Marchesini, la pittura e il disegno figurativi, nell'intento di ritrovare un linguaggio capace di maggiore apertura e libertà espressiva e anche di restituire importanza, nella costruzione di un quadro, all'intensità tecnica.

Ma nelle grandi e grandissime tele che dispiegano le loro “storie” vi è naturalmente anche qualcosa di strettamente legato alla contemporaneità. Nel recupero non solo tecnico ma culturale e cultuale. E non già per quanto attiene allo stile, quanto soprattutto per i temi e le idee praticati da alcuni artisti di riferimento di quei citati anni Ottanta che, oltre agli italiani  - S. Chia, F. Clemente, E. Cucchi, N. de Maria e M. Paladino - rivoluzionarono dalle fondamenta anche negli Stati Uniti il linguaggio pittorico.

Proprio alcuni statunitensi costituiscono infatti l’altro prezioso riferimento per Marchesini. Protagonisti di una breve ma intensa stagione che mette radici nell’East Village di New York: Jean-Michel Basquiat, in particolare, che con il graffitista Keith Haring e il citazionista Mike Bidlo, si installarono in quel quartiere all’inizio degli anni Ottanta. Tuttavia la suggestione non è per Marchesini solo nei confronti di un atteggiamento anarchico e libertario dell’espressione, ma per una indagine più profonda sui simboli – tra cui ad esempio la corona che Basquiat usa come sigla stilizzata, assieme ad altre, quando dipingerà su tela – e nei quali l’artista ritrova i significati di una cultura e di una generazione. I simboli, in ogni caso, hanno anche una valenza assoluta, che non appartiene al tempo: come ad esempio la figura della “porta”, spesso presente nei dipinti di Andrea Marchesini, pregna di una ricca e ampia gamma di significati: letterari, psicoanalitici, liturgici; comuni alle tradizioni spirituali d’Oriente come dell’Occidente.

Del resto questo “ritorno alla pittura” ebbe anche in America un clamoroso successo, un’affermazione che viene decretata e sancita in modo molto pragmatico anche dalle gallerie d’arte di N.Y. e dal mercato internazionale che torna a guardare con rinnovato interesse alla figurazione e nel quale si affermano, tardivamente, ormai quasi sull’orlo della loro fine fisica per droga o per AIDS, quegli stessi protagonisti.

Ma l’elemento forse più interessante di questo riavvicinamento alla pittura propriamente detta e a una maggior precisazione della forma, è che esso si pone come libero territorio, eclettico e senza tempo; luogo di condensazione di culture attuali e antichissime, connubio di Oriente e Occidente, di Nord e di Sud, in cui la paternità delle leggende, della cosmogenesi e dell’antropogenesi è talmente remota da poter essere fatta risalire ad un’unica fonte, ad un unico territorio, pangea primordiale in cui scorrono, in un reticolo di percorsi, i fiumi che sfociano nell’unica panthalassa.

Nella pittura recente di Marchesini, infatti, le immagini di diversa epoca e provenienza rappresentano l’arbitrarietà della sequenza storica: ogni strato del passato è una finestra attraverso cui se ne vedono altri, presenti e mitici. Anche l’uso di tecniche pittoriche diverse racchiude una fascinazione di tipo artigianale: quasi sempre ottenute partendo da pigmenti che vengono poi mischiati dall’artista stesso in medium non tradizionali, le tinte generano interessanti conflitti e permettono di realizzare campiture marezzate ed effetti psichedelici.

Naturalmente, in questa nuova fase di ricerca formale, anche l’attinenza ai più importanti contenuti culturali, storicamente e geograficamente lontani tra loro, sono un elemento caratterizzante. Marchesini riesce a far convivere e dialogare nei suoi dipinti – enormi arazzi mobili o tele fissate in telai – l’umano e il divino, il misticismo strutturato delle religioni e la forza primordiale dei riti.

Una presenza costante, latente o rivelata, che emerge o discretamente si apparta nell’universo figurale di Marchesini è poi sempre, l’Io pensante/vivente. Come siluette o come testa senza volto, l’artista partecipa alla liturgia del quadro, quasi a rendere ancora più evidente e manifesto il proprio desiderio di assoluto, di contemplazione oltre il pensiero logico e la realtà strutturata.

Egli costruisce e poi si insedia in questa sorta di Neverland costellato di indizi. Così come “tutto è indizio prima di essere fenomeno nel cosmo dei limiti: più è lieve l’indizio, più acquista senso, poiché indica un’origine. Assunti in quanto origini, tutti gli indizi sembrano dare principio continuamente, instancabilmente al racconto” (Gaston Bachelard, La poétique de l’espace, 1957), altrettanto nella pittura odierna di Marchesini si intravvede – mai completamente esplicitata, ma presente in filigrana – la traccia della narrazione, il filo, non rosso ma atemporale, sul quale si appendono in modo rapsodico alcuni fondamentali dell’esistenza umana.

Perché non “fil rouge”? "Filo rosso" è un'espressione che si usa nel significato di "filo conduttore" e la sua origine è marinara: per districare le gomene di una nave si seguiva un filo rosso che rendeva possibile separare l'una dall'altra le corde aggrovigliate. Al contrario Marchesini propone, a se stesso prima di tutto, la visione di una “Coscienza sognatrice” totale, la cui apertura e amplificazione impedisce tanto l’alienazione quanto il solipsismo. In essa gli eventi che vengono inanellati dalla Storia sono esclusi per lasciare spazio ad un continuo flusso che non ha confini temporali e ambientali precisi: si muove come un potente succedersi di inspirazione ed espirazione, in un ritmo cosmico che viene traslitterato nel colore. Il Colore funge da liquido amniotico in cui si muovono forme rappresentative dell’Io e del Mondo, nel tentativo mai concluso di definire la propria consapevolezza morale ed estetica. Questa ricerca viene forse suggerita da indicazioni simili a quelle che fornisce un famoso testo taoista, il Lieh Tzu che era incluso nel catalogo della libreria imperiale come Trattato del Vuoto Perfetto, tra il V e il IV secolo a. C.: “Chi compie viaggi esteriori cerca la completezza nelle cose, chi si dà alla contemplazione interiore trova la sufficienza in se stesso” (Lieh Tzu, IV, 51.).

Ma il pittore è, anche, profondamente uomo del suo tempo e i suoi assunti poetici – oltre a tendere alla mistica e all’interiorità - hanno molto a che fare con le inquietudini che attraversano la modernità. Trovano forte adesione alle istanze della creatività nomade dei linguaggi, sentono propria – come scrive Bonito Oliva - la “possibilità di transitare liberamente dentro tutti i territori senza alcuna preclusione, con rimandi aperti a tutte le direzioni. [gli artisti] operano nel campo mobile della transavanguardia, inteso come attraversamento della nozione sperimentale dell’avanguardia, secondo l’idea che ogni opera presuppone una “manualità” sperimentale, la sorpresa dell’artista verso un’opera che si costruisce non più secondo la certezza anticipata di un progetto e di un’ideologia, bensì si forma sotto i suoi occhi e sotto la pulsione di una mano che affonda nella materia dell’arte, in un immaginario fatto di un incarnamento tra idea e sensibilità…”. (La Trans-avanguardia italiana, Flash Art 92-93, ottobre-novembre 1979).

E’ un “transito” salvifico e vitale, quello che Andrea Marchesini recupera dal passato recente, e testimonia che la ricerca, oltre a non avere mai una fine né dei limiti, sa guardare indietro e interiorizzare quello Spirito del Tempo che attraversa la storia.

 

GIULIANO MENATO

Un giovane artista che senta prepotente la vocazione alla pittura dovrebbe misurarsi quotidianamente con i preziosi pennelli per padroneggiare una disciplina che esige con la consapevolezza dell’azione la proprietà dell’espressione. Andrea Marchesini, un ancor giovane pittore vicentino, ha raggiunto un’invidiabile maturità nel dare forma compiuta al suo estro creativo. Le sue scelte formali, sfuggendo a generiche classificazioni, rispondono ad un’assoluta libertà inventiva. Definizioni come pittura informale per alludere ad immagini fatte di segni, gesti e materia, che esprimono solo se stesse, contano poco per lui. Guarda invece con interesse ad artisti  che sente vicini alla sua sensibilità – Basquiat, per esempio, un graffitista ricco di motivazioni interiori –. Investe le sue figurazioni fantastiche di una luce tutta sua, antinaturalistica, che le spoglia d’ogni scontata evidenza. Un impianto spaziale di stampo illusionistico come il suo, che esige una gestualità molto libera, nuove paste cromatiche e materiche, non comporta la rinuncia al procedimento di formulazione pittorica della sensazione emotiva.

A Marchesini non interessa dipingere la società, e nemmeno dipingere l’arte. Vuole dipingere come atto di riscatto e di liberazione di ogni valore politico, estetico e morale. Non intende cambiare il mondo ma decidere che il suo quadro sia un mondo. In una condizione appartata trova la propria salvezza nella prassi, in un fare privo di storia, obiettivi, impulso etico. I suoi valori non si configurano come espressione in positivo di una realtà, bensì come aspirazione a una catarsi, al riscatto di un sofferto disagio esistenziale. Determinanti sono i valori inalienabili della pittura. Non gli basta rappresentare una realtà di fantasia, di sogno o di memoria, ha bisogno che quella realtà si identifichi con la pittura e la pittura diventi la realtà stessa del sentimento.

Nei quadri recenti riduce la foga coloristica dei Fauves e placa la pennellata irruenta dei Cobra, ma non spegne l’accensione della materia, non sopprime il dinamismo del segno. È singolare notare come le straordinarie doti pittoriche dell’artista nell’evoluzione che il suo lavoro ha subito negli ultimi tempi non siano state assolutamente sacrificate alle esigenze di una poetica che nel frattempo si è fatta strada esigendo la legittimazione sul piano dell’immagine oltre che su quello del colore secondo la più solida tradizione del recente passato. Nelle grandi tele, che hanno la magnificenza degli arazzi antichi e la freschezza dei murales moderni, si sviluppano racconti sottilmente surreali che affiorano dalla coscienza senza un ordine stabilito. L’incontenibile energia, espressa un tempo nel vorticoso movimento del segno, cede il passo a più meditati equilibri formali, che danno ampio respiro alla sequenza narrativa. Stato mentale e condizione psicologica si fondono in immagini che operano sui dati visivi realizzando una sorta di architettura fantastica che accoglie tutte le vibrazioni e le emozioni insite nella realizzazione dell’opera.

Lungi dal fare proprie le poetiche del nomadismo culturale e dell’eclettismo stilistico, Marchesini resta un poeta della libertà creativa spontanea, allergica sia al rigore razionale che all’abbandono istintivo, giocata su stravolgimenti e colorazioni accese, ma sul filo emotivo di un’astrazione mentale. Se al trasporto istintivo per Basquiat si aggiunge quello razionale per Rothko, si capisce come una sintassi frammentaria con citazioni dell’immaginario, come la sua, si sviluppi in uno spazio pittorico aperto e luminoso, dove le figure galleggiano sopra quello stesso colore dal quale sono originariamente scaturite.

DANIELA PRONESTI'

Pur richiamando l'elemento dinamico-gestuale del suo fare pittorico, la parola “action” in questo caso non si limita a descrivere il solo fattore stilistico né lo slancio vitalistico tout court. Si tratta, invece, della manifestazione di un processo ben più profondo, vicino nel significato alla praxis aristotelica, vale a dire un’azione in cui entrano in gioco riflessione, intenzione e consapevolezza. La vita è azione e non produzione, afferma Aristotele, operando quindi una distinzione, oggi sempre più invalsa, tra l’agire e il fare, e quindi tra ciò che è scelta, pensiero, visione, ricerca di senso del proprio stare al mondo ed agire sul mondo, e ciò che, invece, rientrando nella sfera della produzione, del fare strumentale ad uno scopo, trasforma l’azione umana, e quindi l’uomo stesso, in un tramite e non in un fine. Vivendo in un’epoca in cui i ritmi esistenziali sono sempre più scanditi dalla produzione e dal consumo a discapito della libera determinazione dell’individuo, diventa essenziale dunque ritornare ad “agire”, destando le coscienze dal torpore del pensiero unico, dai meccanismi alienanti dei linguaggi seriali, dall’implacabile ripetitività di azioni subite e non agite. Azione, dunque, che nell’arte di Andrea Marchesini risponde ad una ragione ideologica ancor prima che estetica: «La mia visione - afferma - parte da un evidente pessimismo che si apre verso soluzioni possibili ma indefinite, orientate all’esistenza di un nuovo punto d’approdo». Il fallimento delle ideologie, quindi, non preclude ma anzi rende necessario quel “miraggio di salvezza” verso cui tendono i vaghi residui figurali che si manifestano nei suoi dipinti come latenze emerse dal colore. Riportare la riflessione artistica sul piano dell’azione e della prassi significa quindi permeare l'opera di un fare interrogante e veritativo rispetto al mondo, conciliando l'utopia con la speranza di una salvezza possibile. Aspirazione che spinge Marchesini a ritrovare le origini del pensiero mitico e del naturalismo “ingenuo” dei graffiti preistorici per arrivare ai varchi irrazionali dell’automatismo surrealista, all’organicismo materico dell’arte informale, ad un’idea della tela come campo di tensione dove si compie il rituale segnico - gestuale di matrice astratto - espressionista. Nasce così un’immagine “multipla”, stratificata, dove ogni elemento condiziona l’altro e ne è a sua volta condizionato, in un continuo processo generativo - sempre regolato dal colore - di segni astratti, relitti figurali e metafore naturalistiche. Presenze che “brulicano” sulla tela ora espandendosi in contrappunti ritmici, ampie volute e spirali mai prive di un disegno coreografico ora invece organizzandosi in visioni evocative di paesaggi, parvenze umane o forme organiche. Un movimento crescente e vertiginoso dove s’intrecciano storia e mito, natura e civiltà, senza però, precisa l’artista, sfociare nel caos: «Ogni cosa nella mia pittura sembra avere una mèta, aspira a un ritorno, ad un’origine in cui il rapporto con la natura era di quiete, di armonia, di osmosi». E se lo scopo, dunque, è rispondere alla crisi etica ed estetica del presente ritornando ad una condizione originaria che precede quelle che Marchesini definisce forme minacciose ed ossessive della civiltà e ancora un labirinto di incubi da eludere per tentare la salvezza, l’unica via possibile, quella che l’arte può percorrere, è ridare potere all’immaginazione, unica vera forma di “ribellione” ad un sistema che ormai controlla le nostre vite sotto ogni aspetto. Del resto, proprio l’immaginazione, con le sue articolazioni archetipiche, simboliche e mitiche, ci riporta alle origini dell’uomo, a quella “pulsione” innata che per la prima volta ha spinto l’uomo a lasciare un  segno del proprio passaggio sulla parete di una caverna. Ieri come oggi, l’immaginazione è garanzia di quella libertà che l’arte di Andrea Marchesini celebra come valore imprescindibile.

 

MARICA ROSSI

Ocra, azzurro e viola. Rosa, cremisi e marrone. Fucsia, indaco e beige coi verdi di fronde marine. E’la minuscola parte della movimentata fastosa gamma del divenire pittorico di Andrea Marchesini, il quarantunenne figlio d’arte che, vocato alla pittura dall’infanzia, s’è tuffato nelle fantasmagoriche potenzialità del colore senza transitare nel figurativo. Dal “tempo delle mele” l’artista vicentino è dedito all’astratto-informale acquisendo la caleidoscopica proprietà di stile che la personale ”Genesi e Colore” al Galla Caffè a Vicenza dal 20 novembre a cura di Marica Rossi con inaugurazione alle 18, rivela. Peculiare di quest’arte è l’impatto visivo forte ma mai violento apprezzato in rassegne in Italia e all’estero come recenti trasmissioni video hanno evidenziato. Doti che ora e fino all’8 dicembre gli oltre venticinque dipinti a olio e a tecnica mista su tela o cartoncino attestano svelando sia l’autenticità di ispirazione che la gestazione felice con l’approdo agli esiti importanti di oggi.

Marchesini s’è formato nelle Accademie italiane e nelle scuole di Londra, di Parigi e di Barcellona, acquisendo una spontaneità supportata da straordinaria padronanza tecnica. Ed è come se l’autore riversasse sulla tela tutta la forza della sua creatività, rendendola pulsante di vita e della capacità di tesaurizzare il colore di tradizione veneta, l’oro del‘300, i rossi pompeiani, i blu rinascimentali e gialli Van Gogh. Un’orchestrazione di cromie con sonorità e richiami totemici secondo regole che lui si dà: ritmo, contrasto, armonia.

 

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